938 resultados para CLINICA MEDICA


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La leishmaniosi canina (LCan) causata da Leishmania infantum rappresenta un’importante zoonosi in molte aree del mondo ed il cane rappresenta il principale reservoir del parassita per l’uomo. Il tipo di risposta immunitaria che i soggetti colpiti mettono in atto condiziona fortemente la progressione della malattia: animali che non sviluppano un’adeguata risposta immunitaria cellulo-mediata mostrano la sintomatologia clinica nonostante abbiano una forte ma inefficace risposta umorale che contribuisce al peggioramento della sintomatologia clinica. L’obbiettivo dello studio è stato quello valutare da un punto di vista descrittivo il segnalamento, i segni clinici e clinicopatologici dei pazienti affetti da leishmaniosi portati in visita presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie nel periodo compreso da Gennaio 2002 a Marzo 2012 con particolare attenzione sull’impatto della patologia renale e dell’anemia nel quadro clinico della LCan. In base ai risultati ottenuti è stato possibile affermare che la leishmaniosi canina è una patologia relativamente frequente nella nostra realtà clinica universitaria e che presenta caratteristiche cliniche e clinicopatologiche simili a quelle riportate in letteratura. I nostri risultati preliminari suggeriscono che in questa malattia il coinvolgimento renale e le conseguenze sistemiche che ne derivano possono essere predominanti a livello clinico e laboratoristico. La gravità del quadro clinico appare associata in maniera significativa all’entità della risposta umorale e del successivo coinvolgimento glomerulare nel contesto di una risposta infiammatoria sistemica cronica. Successivamente, sono state misurate le concentrazioni di IgG ed IgM in corso di follow-up in alcuni dei soggetti inclusi nello studio e sottoposti a differenti trattamenti anti-leishmania. Dai risultati preliminari ottenuti nel nostro lavoro è stato possibile affermare che in corso di trattamento le concentrazioni di tali immunoglobuline subiscono una riduzione progressiva confermando pertanto l’efficacia del trattamento anti-leishmania non solo nella remissione della sintomatologia clinica ma anche nel ripristino della normale risposta umorale.

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La poliradicoloneurite acuta idiopatica (ACIP) è una patologia infiammatoria che interessa le radici di più nervi spinali, descritta soprattutto nel cane, più raramente nel gatto, caratterizzata da insorgenza acuta di paresi/paralisi flaccida. L’ACIP mostra notevoli similitudini con la sindrome di Guillan-Barrè dell’uomo (GBS), in cui la patogenesi è su base autoimmunitaria ed è stata correlata con la presenza di alcuni fattori scatenanti (trigger). Lo scopo di questo lavoro è stato quello di caratterizzare l’ACIP in 26 cani, descrivendone la sintomatologia, l’evoluzione clinica, i risultati degli esami diagnostici. La diagnosi si è basata sui riscontri dell’anamnesi, della visita neurologica e del decorso confermata, quando possibile, dai rilievi elettrodiagnostici. Su tutti i cani è stata valutata l’esposizione a specifici agenti infettivi (Toxoplasma gondii, Neospora canunim, Ehrlichia canis, Leishmania infantum), o altri fattori (come vaccinazioni) che potrebbero aver agito da “trigger” per l’instaurarsi della patologia; sull’intera popolazione e su 19 cani non neurologici (gruppo di controllo), si è proceduto alla ricerca degli anticorpi anti-gangliosidi. La sintomatologia di più frequente riscontro (25/26) ha coinvolto la funzione motoria (paresi/plegia) con prevalente interessamento dei 4 arti (24/25) . Sei cani hanno ricevuto una terapia farmacologica, che non ne ha influenzato il decorso, favorevole in 24/26 casi. In 9 pazienti è stata rilevata una precedente esposizione a potenziali trigger; in 10 casi si è riscontrato un titolo anticorpale positivo ad almeno un agente infettivo testato. In 17/26 cani si è ottenuto un titolo anticorpale anti-GM2 e anti-GA1; nella popolazione di controllo solo un caso è risultato positivo. Questi risultati hanno contribuito a consolidare le conoscenze di questa patologia, validando l’utilità della ricerca anticorpale anti-gangliosidica per la diagnosi di ACIP e facendo intravedere la possibilità che l’ACIP possa essere assimilate alla GBS anche dal punto di vista patogenetico, per la quale potrebbe essere considerata come modello animale spontaneo.

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La prima parte del nostro studio riguarda la tecnica LAMP (Loop-mediated isothermal amplification), una tecnica di amplificazione isotermica recentemente inventata (Notomi et al., 2000). Essa presenta notevoli vantaggi rispetto alle tradizionali PCR: non necessita di strumentazioni sofisticate come i termociclatori, può essere eseguita da personale non specializzato, è una tecnica altamente sensibile e specifica ed è molto tollerante agli inibitori. Tutte queste caratteristiche fanno sì che essa possa essere utilizzata al di fuori dei laboratori diagnostici, come POCT (Point of care testing), con il vantaggio di non dover gestire la spedizione del campione e di avere in tempi molto brevi risultati paragonabili a quelli ottenuti con la tradizionale PCR. Sono state prese in considerazione malattie infettive sostenute da batteri che richiedono tempi molto lunghi per la coltivazione o che non sono addirittura coltivabili. Sono stati disegnati dei saggi per la diagnosi di patologie virali che necessitano di diagnosi tempestiva. Altri test messi a punto riguardano malattie genetiche del cane e due batteri d’interesse agro-alimentare. Tutte le prove sono state condotte con tecnica real-time per diminuire il rischio di cross-contaminazione pur riuscendo a comprendere in maniera approfondita l’andamento delle reazioni. Infine è stato messo a punto un metodo di visualizzazione colorimetrico utilizzabile con tutti i saggi messi a punto, che svincola completamente la reazione LAMP dall’esecuzione in un laboratorio specializzato. Il secondo capitolo riguarda lo studio dal punto di vista molecolare di un soggetto che presenza totale assenza di attività mieloperossidasica all’analisi di citochimica automatica (ADVIA® 2120 Hematology System). Lo studio è stato condotto attraverso amplificazione e confronto dei prodotti di PCR ottenuti sul soggetto patologico e su due soggetti con fenotipo wild-type. Si è poi provveduto al sequenziamento dei prodotti di PCR su sequenziatore automatico al fine di ricercare la mutazione responsabile della carenza di MPO nel soggetto indicato.

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As síndromes mielodisplásicas (SMD) se caracterizam por terem uma hematopoese displásica, citopenias e pelo risco de progressão para leucemia mielóide aguda. O diagnóstico baseia-se na clínica e nos achados citomorfológicos da medula óssea (MO) e citogenéticos. Na fase inicial ou quando a MO é hipocelular o diagnóstico é difícil e a citogenética frequentemente é normal. A imunofenotipagem (IMF) tem sido cada vez mais utilizada nos casos de SMD em adultos e pouco explorada na SMD pediátrica. Os nossos objetivos foram: estudar os casos de SMD e doenças correlatas (LMA relacionada à SMD: LMA-rMD; leucemia mielomonocítica crônica: LMMC e leucemia mielomonocítica juvenil: LMMJ) em adultos e crianças, associando os dados clínicos e laboratoriais aos obtidos pela IMF, que utilizou um painel de anticorpos monoclonais para as várias linhagens medulares. No período compreendido entre 2000 e 2010 foram estudados 87 pacientes (64 adultos e 23crianças) oriundos do HUPE/UERJ e IPPMG/UFRJ e 46 controles (23 adultos e 20 crianças). Todos os doentes realizaram mielograma, biópsia óssea, citogenética, citoquímica e estudo imunofenotípico. Segundo os critérios da OMS 50 adultos foram classificados como SMD, 11 como LMA-rMD e 3 LMMC. Entre as crianças 18 eram SMD, 2 LMA e 3 LMMJ. Os pacientes adultos com SMD foram divididos em alto risco (n = 9; AREB-1 e AREB-2) e baixo risco (n=41; CRDU, CRDM, CRDM-SA, SMD-N e SMD-5q-). As crianças com SMD em CR (n=16) e AREB (n = 2). Anormalidades clonais recorrentes foram encontradas em 22 pacientes adultos e em 7 crianças. Na análise da IMF foi utilizada a metodologia da curva ROC para a determinação dos valores de ponto de corte a fim de identificar os resultados anormais dos anticorpos monoclonais nos pacientes e nos controles, permitindo determinar a sensibilidade e especificidade desses em cada linhagem. A IMF foi adequada para a análise em todos os pacientes e 3 ou mais anormalidades foram encontradas. A associação da IMF aumentou a sensibilidade da análise morfológica na linhagem eritróide de 70 para 97% nos adultos e de 59 para 86% nas crianças; na linhagem granulocítica de 53 para 98% nos adultos e de 50 para 100% nas crianças. Nos monócitos, onde a morfologia não foi informativa, mostrou uma sensibilidade de 86% nos adultos e 91% nas crianças. Enquanto que na linhagem megacariocítica, não analisada pela IMF, a morfologia mostrou uma sensibilidade de 95% nos adultos e 91% nas crianças. Na população de blastos foi expressiva a ausência de precursores linfóide B (em 92% dos adultos e em 61% das crianças). Os resultados observados nas crianças com SMD foram semelhantes aos encontrados nos adultos. Em conclusão, nossos resultados mostraram que a IMF é um método complementar ao diagnóstico da SMD e doenças correlatas tanto em adultos quanto em crianças podendo contribuir para o reconhecimento rápido e precoce dessas enfermidades, devendo ser incorporado aos procedimentos de rotina diagnóstica.

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Nos últimos anos, a população de idosos vem crescendo em todo o mundo, e a pesquisa de marcadores de risco cardiovascular mais precoces é de fundamental importância. Um desses marcadores é a doença arterial periférica (DAP), cuja prevalência aumenta com a idade. A DAP pode ser avaliada de forma simples e não invasiva através do índice tornozelo-braquial (ITB) que, por sua vez, pode ser obtido por cálculos diferentes. Até o momento, apenas o método tradicional foi utilizado no cálculo do ITB na população idosa. O objetivo do presente estudo foi avaliar, em idosos hipertensos que se mostrassem independentes para as atividades diárias, os principais fatores relacionados à redução do ITB, considerando-se duas formas distintas de calcular o índice. Os pacientes (n=65) foram submetidos à avaliação clínica, geriátrica e laboratorial, e divididos nos grupos com ITB normal (> 0,9) e ITB reduzido (≤ 0,9). Inicialmente o ITB foi calculado a partir da divisão da maior pressão sistólica dos membros inferiores pela maior pressão das artérias braquiais. Em seguida, o cálculo do ITB foi realizado por um método alternativo, a partir da utilização da menor ao invés da maior média de pressão sistólica nos membros inferiores. A média de idade foi de 74 anos, sendo 76% do sexo feminino. A prevalência de ITB reduzido foi de 18% pelo método convencional e de 32% pelo método alternativo. Na avaliação pelo método convencional, o grupo com ITB baixo apresentou maior prevalência de doenças cardiovasculares (58 vs 9%, p<0,001), diabetes (83 vs 13%, p<0,01), síndrome metabólica (75 vs 41%, p<0,05), e valores significativamente maiores de pressão arterial sistólica (1699 vs 1523 mmHg, p<0,05) e pressão de pulso (877 vs 672 mmHg, p<0,01). A redução do ITB pelo método alternativo mostrou associação com as mesmas variáveis, mas adicionalmente com maior freqüência de tabagistas (29 vs 20%, p<0,05) e maiores níveis de LDL-colesterol (15413 vs 1245 mg/dl, p<0,05). Além disso, o método alternativo foi capaz de detectar pacientes sem alto risco pelo escore de Framingham, mas obesos e com síndrome metabólica. Esses dados apontariam para um valor adicional desta forma de estimar o risco ao escore de Framingham na estratificação de risco cardiovascular, sugerindo sua incorporação na rotina de avaliação de pacientes idosos

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Estima-se que aproximadamente 30 milhões de brasileiros apresentem hipertensão arterial e a despeito da grande quantidade de hipotensores disponíveis, acredita-se que apenas 2,7 milhões estejam sendo tratados adequadamente. Recentemente vários estudos clínicos, epidemiológicos e experimentais têm mostrado uma associação entre o consumo de alimentos ricos em cacau e a redução da pressão arterial assim como relacionando este efeito a uma possível ação dos flavonóides do cacau sobre a função endotelial. Objetivos: avaliar em pacientes hipertensos primários, estágio 1, o efeito da administração dos flavonóides do chocolate amargo 70% de cacau sobre: a pressão arterial; a função endotelial e as possíveis correlações entre as variações da pressão arterial e da função endotelial. Tipo de estudo: experimental, clínico e aberto. Casuística: 20 pacientes, sem distinção de raça ou sexo, com hipertensão arterial primária no estágio 1, sem tratamento anti-hipertensivo prévio, eutróficos, com sobrepeso ou obesos grau I, com idades entre 18 e 60 anos. Local do estudo: Disciplina de Fisiopatologia Clínica e Experimental Clinex. Universidade do Estado do Rio de Janeiro. Variáveis estudadas: pressão arterial, PCR-US, IL-6, TNF-α, VCAM, ICAM, E-selectina, LDL-OX, colesterol total, LDL-colesterol, HDL-colesterol, triglicérides, glicemia, insulina, HOMA, índice de massa corporal, circunferência de cintura, circunferência de quadril, relação cintura quadril e percentual de gordura corporal. Resultados: o chocolate-cacau 70% reduziu de forma significativa a pressão arterial avaliada pelo método oscilométrico casual. Através deste método observamos que a pressão arterial sistólica reduziu de forma significativa após 4 semanas de tratamento, (V0: 146,50 1,28; V1: 140,40 3,02; V2: 138,50 2,44; V3: 140,60 2,50; V4: 136,90 2,60; V4 vs. V0, p<0,001) enquanto a pressão arterial diastólica apresentou redução significativa a partir de 2 semanas de tratamento e assim permanecendo até o final do estudo (V0: 93,2 0,74; V1: 87,50 1,8; V2: 86,05 1,67; V3: 88,35 1,48; V4: 87,45 1,78; V2 vs. V0, p< 0,05 e V4 vs. V0, p<0,03). A pressão arterial avaliada pelo método de monitorização ambulatorial da pressão arterial durante 24h (MAPA) não modificou de maneira significativa após a intervenção. Observamos reduções expressivas, embora não estatisticamente significativas nas concentrações de PCR-US, TNF-α, LDL-OX, IL-6, VCAM, ICAM e E-selectina As correlações da PCR-US com IL-6 e ICAM foram significativas (r=0,3; p=0,05 e r=0.45, p=0,04) e de IL-6 com ICAM forte mas sem significância (r=0,42, p=0,06). As demais variáveis avaliadas não se modificaram de forma significativa após 4 semanas de consumo de chocolate-cacau 70%. Conclusões: os resultados do presente estudo sugerem que o chocolate-cacau 70% tem efeito benéfico sobre a função endotelial e controverso em relação ao comportamento da pressão arterial

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A Caderneta de Saúde da Criança é instrumento indispensável para promoção da saúde infantil. Nesta pesquisa o objetivo foi obter dados que fundamentem a análise crítica da Caderneta como instrumento de informação e educação em saúde, com atenção a subsídios nas áreas de medicina, odontologia, fonoaudiologia e psicologia. Foi revisada a literatura e, através de pesquisa qualitativa, exploratória e de entrevistas semiestruturadas, foram obtidas opiniões de especialistas em atendimento infantil, médicas pediatras, cirurgiãs dentistas, fonoaudiólogas e psicólogas, trabalhadoras do Sistema Único de Saúde, assim como de mães cujos filhos são usuários deste sistema. Investigou-se o conhecimento das entrevistadas sobre o conteúdo da Caderneta e sua importância. Os resultados apontaram que o nível de conhecimento das profissionais, médicas pediatras e uma cirurgiã dentista foi satisfatório; porém, quanto às demais profissionais, insatisfatório, assim como o conhecimento das mães, o que demonstra necessidade de esclarecimentos sobre a importância da Caderneta. Foi também evidenciada a necessidade de mudanças na formatação e diagramação, bem como ampliação do seu conteúdo, para que a mesma possa cumprir seu papel orientador

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A aterosclerose e suas complicações são a principal causa de morbidade e mortalidade no mundo ocidental. O aumento da espessura da camada médio-intimal da carótida está associado com risco para doenças cardiovasculares, pois representa um marcador de aterosclerose subclínica, podendo ser detectada precocemente em indivíduos assintomáticos. O objetivo desse estudo foi identificar variáveis clínicas e nutricionais associadas com a aterosclerose subclínica em mulheres hipertensas. Estudo transversal envolvendo uma amostra de conveniência composta por 116 mulheres hipertensas entre 40 e 65 anos. Dados clínicos, como pressão arterial (PA) sistólica e diastólica, história de tabagismo, atividade física, uso de medicamentos foram coletados; foi feita a análise do perfil lipídico, glicemia e proteína C reativa (PCR); a avaliação dietética obtida pelo Recordatório de 24 horas e pelo Registro de três dias. A espessura médio-intimal (EMI) de carótidas foi realizada pelo aparelho de ultrassonografia. As pacientes foram divididas em dois grupos, de acordo com os valores da espessura médio-intimal de carótidas: EMI 0,9mm ou EMI > 0,9mm. Houve diferença significativa entre os grupos em relação à idade (50,846,62 vs 53,547,13; p=0,044), PA sistólica (134,5216,54 vs 142,9821,47; p=0,020), pressão de pulso (PP) (49,3611,03 vs 60,15 17,77; p<0,001), HDL (48,988,54 vs 44,057,45; p=0,004) e PCR (2,311,21 vs 3,051,34; p=0,016). Não houve diferença significativa em relação aos parâmetros antropométricos, exceto em relação à reactância (65,199,69 vs 61,447,88; p=0,036), avaliada pela bioimpedância elétrica (BIA). Quanto ao padrão de consumo alimentar, somente o consumo de gordura monoinsaturada foi diferente entre os grupos, sendo o maior consumo no grupo com menor valor de EMI (7,882,09 vs 7,022,06; p=0,031). Não houve diferença em relação à frequência de tabagismo e atividade física. Quando foi feita a análise de correlação da amostra, foi encontrada uma correlação entre a EMI de carótidas e idade (r=0,25; p=0,0067), PAS (r=0,19; p=0,0086); PP (r=0,30; p=0,0009), LDL (r=0,19; p=0,0434), assim como com gordura monoinsaturada (r= -0,25; p=0,0087), PCR (r=0,31; p=0,007) e HDL (r=-0,33; p=0,0004), porém apenas as variáveis HDL, PCRus e pressão de pulso mostraram ser preditoras independentes da EMI de carótida após feita uma análise de regressão linear multivariada. A proteína C reativa, HDL colesterol e pressão de pulso são importantes preditores independentes de aterosclerose subclínica.

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A proporção de idosos portadores da síndrome da imunodeficiência adquirida (aids) tem aumentado de maneira importante nos últimos anos e, até a presente data, existem poucos estudos que abordam a infecção nessa população especial. As particularidades imunológicas decorrentes do fenômeno da imunossenescência podem acarretar mudanças significativas na evolução da infecção pelo HIV, bem como na resposta ao tratamento. O objetivo maior desta Tese foi avaliar o impacto da idade na recuperação funcional do sistema imune de pacientes com aids acima de 55 anos, quando tratados adequadamente com terapia anti-retroviral, caracterizando a resultante imunológica da idade avançada e da infecção pelo HIV. Para tanto, foram estudados quatro grupos experimentais: indivíduos jovens saudáveis ou com aids, e indivíduos acima de 55 anos saudáveis ou com aids. Todos os pacientes com aids estavam recebendo terapia anti-retroviral, em sucesso terapêutico. No primeiro artigo apresentado, avaliamos resposta linfoproliferativa e produção de citocinas in vitro e resposta humoral in vivo mediante desafio antigênico com toxóide tetânico (TT) em indivíduos previamente vacinados contra o tétano. Os resultados mostraram deficiências imunológicas significativas relacionadas à idade avançada no que diz respeito a produção de IgG anti-TT, resposta linfoproliferativa e produção de IFN-. Em contrapartida, a produção de IL-10 foi significativamente maior nos indivíduos acima de 55 anos, infectados ou não pelo HIV. No segundo artigo, foram caracterizadas as subpopulações de células T mediante estímulo policlonal ou específico com antígenos do envelope do HIV (Env). Em culturas não-estimuladas de PBMC do grupo com aids e idade avançada, observamos frequência reduzida de células T naive e de memória central, associada a aumento de células T efetoras. Quando estimuladas policlonalmente, essas culturas apresentaram deficiência na produção de IFN- e hiperprodução de IL-10, como na resposta ao TT. Mediante estímulo específico com Env, a citometria de fluxo revelou frequência elevada de células T CD4+FoxP3-CD152+ com forte marcação intracelular para IL-10, indicando predomínio do fenótipo Tr-1, e não das células Treg clássicas. Interessantemente, em ambos os artigos, a replicação viral in vitro foi significativamente menor nos pacientes com aids acima de 55 anos, condizendo com a excelente resposta virológica desses pacientes ao tratamento antirretroviral. A neutralização da IL-10 com anticorpo anti-IL-10 nas culturas ativadas pelos peptídeos Env aumentou de forma significativa a replicação viral no sobrenadante. Tanto na resposta ao TT quanto aos peptídeos Env, o bloqueio da IL-10 aumentou os níveis de citocinas pró-inflamatórias, mas não melhorou a produção de IFN- dos pacientes acima de 55 anos com aids. Coletivamente, os achados dessa Tese revelam distúrbios em vários segmentos da resposta imune, particularmente no compartimento Th1, de pacientes acima 55 anos com aids e adequadamente tratados, sugerindo que, para esses pacientes, a reconstituição imune pós-tratamento não ocorre com a mesma eficácia que no jovem. Apesar do aumento da produção de IL-10 provavelmente contribuir, ao menos em parte, para o controle virológico, pode comprometer a resposta tanto ao próprio HIV, quanto a outros desafios antigênicos, a exemplo do toxóide tetânico. Sugere-se, portanto, a necessidade de recomendações específicas de manejo clínico para esse grupo de pacientes

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Dados recentes indicam uma relação inversa entre doença cardiovascular e consumo de flavonóides. O objetivo do estudo foi identificar parâmetros clínicos e vasculares de pacientes hipertensos tratados que apresentaram efeitos benéficos na função vascular após o consumo de chocolate amargo com 70% de cacau por sete dias. Vinte e um pacientes hipertensos em tratamento medicamentoso, ambos os sexos, com idades entre 40-65 anos, foram incluídos em um ensaio clínico intervencional com aferição de pressão arterial, dilatação mediada por fluxo braquial (DMF), tonometria arterial periférica (EndoPAT) e parâmetros hemodinâmicos centrais pelo SphygmoCor. Após sete dias de consumo de chocolate amargo (70% cacau) 75g/dia, as avaliações clínica e vascular foram repetidas. Os pacientes foram divididos em dois grupos de acordo com a resposta da DMF em respondedores (que apresentaram melhora na DMF, n= 12) e não-respondedores (que não apresentaram melhora, n = 9). O grupo respondedor apresentou menor média de idade (54 7 vs 61 6 anos, p = 0,037) e menor risco cardiovascular pelo escore de Framingham (2,5 1,8 vs 8,1 5,1%, p = 0,017). Além disso, os pacientes respondedores apresentaram valores mais baixos de pressão de pulso tanto periférica (55 9 vs 63 5 mmHg, p = 0,041), quanto central (44 10 vs 54 6, p = 0,021) quando comparado ao grupo não respondedor. A resposta da DMF apresentou correlação moderada e negativa com o escore de Framingham (r = -0,60, p = 0,014), com a DMF basal (r = 0,54, p = 0,011), com o índice de hiperemia reativa basal (IHR) obtido pelo EndoPAT (r = -0,56, p = 0,008) e com a pressão de pulso central (r = -0,43, p = 0,05). No entanto, após análise de regressão linear, apenas o escore de Framingham e o IHR basal foram associados com a resposta da DMF. Em conclusão, nesta amostra de pacientes hipertensos tratados, os indivíduos que apresentaram melhora da função endotelial com o consumo de chocolate amargo com 70% de cacau também mostraram redução da pressão arterial tanto sistólica como diastólica, eram mais jovens e tinham menor pressão de pulso e menor risco cardiovascular, apesar de uma disfunção endotelial basal

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A dor neuropática é uma síndrome dolorosa crônica, que ocorre muito frequentemente em pacientes com hanseníase, de difícil tratamento. Objetivou-se avaliar o efeito terapêutico da S(+)-cetamina na dor neuropática e qualidade de vida em portadores de hanseníase atendidos em ambulatórios em São Luís - MA. Estudo experimental tipo ensaio clínico, prospectivo, aleatório, duplamente cego, controlado por placebo, com 34 pacientes distribuídos aleatoriamente em um dois grupos, cetamina e placebo por três meses e randomizados por numeração sequenciada. A dor foi avaliada por meio de escala analógica visual (EAV) nas seis visitas quinzenais (1, 2, 3, 4, 5 e 6), e pelo inventário DN4, na visita 1 e 6, com distribuição da S(+)-cetamina e o analgésico de resgate e avaliado os efeitos adversos em cada visita. Realizou-se a coleta de 15mL de sangue para exames de segurança na visita 1 e 6 e para quantificação de citocinas plasmáticas IL-1, IL-6 e TNFα, nas visitas 1, 2, 4 e 6. Foi também, avaliada a qualidade de vida por meio do questionário WHOQOL-Bref nas visitas 1 e 6. Os resultados demostraram predominância do sexo feminino, idade de 18 a 29 anos, pardos, solteiros, renda de 2 a 4 salários mínimos; e média de 7,782,21 anos de estudo. Na avaliação da dor pela EAV os dois grupos apresentaram uma redução dos escores médios de dor ao longo do tempo, e mostrou significância estatística p < 0,05. Entretanto não foi observada diferença estatística para os escores de dor entre os grupos e também, em relação ao uso do medicamento analgésico (codeína) de resgate. Houve redução significante nos escore de DN4 no grupo placebo em relação às avaliações iniciais e finais comparadas à cetamina, ainda os escores iniciais do DN4 foram significativamente menores no grupo placebo, nas avaliações de antes e depois do uso da S(+)-cetamina. Na avaliação da qualidade de vida nos domínios físico, psicológico, relações sociais e meio ambiente, não se observou diferença estatisticamente significante entre os grupos estudados. Os valores de IL-1, IL-6 e TNF-α, em quatro coletas do soro dos grupos cetamina e placebo não mostraram diferença estatisticamente significante tanto na avaliação intragrupo ao longo das visitas, como entre os grupos. Em relação aos efeitos adversos, houve um predomínio estatisticamente significante no grupo cetamina especialmente para tontura, alteração visual e outros efeitos. Conclui-se que a S(+)-cetamina por via oral na dose utilizada em pacientes com hanseníase e dor neuropática não se mostrou superior ao placebo em relação ao efeito analgésico e no impacto na qualidade de vida.

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Fadiga é um sintoma subjetivo de difícil definição. Extremamente comum em pacientes com Artrite Reumatoide. O objetivo deste estudo é estudar a fadiga numa amostra de pacientes brasileiros de dois hospitais de grande porte na cidade do Rio de Janeiro e analisar sua correlação com outras variáveis freqüentes da doença como a Qualidade de Vida, Capacidade Funcional, Ansiedade, Depressão e atividade inflamatória da doença.Um protocolo padrão foi prospectivamente aplicado a 371 pacientes como diagnóstico de AR de acordo com os critérios de classificação do American College of Rheumatology de 1987. Achados clínicos, demograficos e laboratoriais foram coletados.Os dados laboratoriais incluíram a velocidade de sedimentação das hemácias e dosagem da proteína C reativa. O número de juntas dolorosas foi obtido atraves do terceiro item do questionário de atividade inflamatória da doença DAS 28. Idade, gênero, índice de massa corporal, tempo de doença, qualidade de vida avaliada pelos domínios físico e mental do questionário Medical Outcomes Study Short-Form 36-item Health Survey (SF-36P e SF-36M), a capacidade funcional avaliada pelo Health Assessment Questionaire - Disability Index (HAQ DI). A ansiedade e a depressão foi mensurada pelo Hospital Anxiety and Depression Scale (HAD a/d). A fadiga foi avaliada pela utilização da subscalaprópria para mensuração das queixas de fadiga do questionário Fatigue Assessment of Chronic Illness Therapy (Facit FS). Foi aplicado o intervalo de confiança de 95% como medida de precisão. O valor médio de fadiga mensurado pelo Facit FS foi 39.88 8.64. O escore da fadiga correlacionou-se com capacidade funcional mensurada pelo HAQ DI (-0.507; p < 0.0000), a ansiedade e depressão mensurada pelo HAD a/d (-0.542 e -0.545; p < 0.0000 respectivamente) e com a qualidade de vida mensuradapor ambos domínios do SF-36, porém predominantemente com o seu domínio físico (SF-36P: 0.584; p < 0.0000 e 0.405; p < 0,05 respectivamente).Não encontramos associação com a velocidade de sedimentação das hemácias (-0.118; p < 0.05), da proteína C reativa (-0.089), da atividade de doença mensurada pelo DAS 28 (-0.250; p < 0.0000) ou com o número de juntas dolorosas (-0.135; p < 0.009). Nesta amostra de pacientes com Artrite reumatoide, sugerimos um novo significado para a fadiga, como um parâmetro independente, não relacionado a atividade inflamatória da doença ou ao número de juntas dolorosas. A fadiga mostrou-se associada principalmente a incapacidade funcional e a sintomas de ansiedade. Estudos adicionais e a adoção de métodos padronizados para seu monitoramento e manejo clínico são necessáriospara melhor compreensão da fadiga. A fadiga mostrou ser uma queixa importante em pelo menos 1/3 dos pacientes de AR da amostra.